Demanio marittimo
Delimitazione del demanio marittimo: si tratta di un procedimento disciplinato dall'art. 32 cod. nav. che mira a rendere evidente la demarcazione tra il demanio marittimo e le proprietà private finitime, senza tuttavia venire ad alterare la situazione giuridica preesistente. Nella sostanza esso si presenta quale proiezione specifica, nel campo del demanio marittimo, dell’ordinaria azione civilistica del regolamento di confini di cui all’art. 950 cod. civ. Tale procedimento si conclude con un atto di delimitazione, il quale si pone in funzione di mero accertamento, in sede amministrativa, dei confini del demanio marittimo rispetto alle proprietà private con esclusione di ogni ulteriore potere in capo alla p.a., cosicché il privato che contesti l'accertata demanialità del bene può invocare la tutela della propria situazione soggettiva dinanzi al giudice ordinario, abilitato alla disapplicazione dell'atto amministrativo se ed in quanto illegittimo. In tale sede trovano infatti definizione le azioni di accertamento dei confini tra aree private e demaniali proposte nei confronti della p.a., avendo queste per oggetto la verifica dell’esistenza ed estensione di un diritto soggettivo del privato – il diritto di proprietà – in opposizione al diritto di proprietà dello Stato.
Sdemanializzazione dei beni: su tale specifico tema vige il principio per cui, in linea generale, la sdemanializzazione di un bene, con la conseguente configurabilità di un possesso del privato ad usucapionem, può verificarsi anche tacitamente, in carenza di un formale atto di declassificazione, purché si sia in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della p.a. di sottrarre il bene medesimo alla relativa destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino. Ciò discende dal fatto che il provvedimento sul passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio, a norma dell'art. 829 cod. civ., ha carattere meramente dichiarativo, posto che la dichiarazione della cessazione di demanialità, qualora sussistano già le condizioni di fatto comprovanti l’incompatibilità con la volontà di conservare la destinazione ad uso pubblico, si limita in sostanza a dare atto del passaggio dei beni stessi da uno ad un altro regime.
Tuttavia, per i beni del demanio marittimo (come la spiaggia, comprensiva dell'arenile) la disciplina in materia di sdemanializzazione è più rigorosa: per essi, infatti, un simile procedimento non può verificarsi tacitamente ma richiede, ai sensi dell'art. 35 cod. nav., un espresso e formale provvedimento della competente autorità amministrativa di carattere costitutivo, in quanto, pur consistendo il presupposto della sclassificazione sempre nella mancata attitudine di determinate zone di spiaggia a servire agli usi pubblici del mare, il relativo giudizio è demandato a organi speciali sulla base di una valutazione tecnico-discrezionale in ordine ai caratteri naturali di detti beni, variabili e contingenti secondo le diverse caratteristiche geofisiche ed esigenze locali, tenuto conto della diversità degli usi.
Concessione demaniale marittima: ricompressa nel più ampio genere delle concessioni amministrative, costituisce il titolo abilitativo con il quale un soggetto viene legitimato a conseguire la disponibilità in via esclusiva, per un uso e un periodo determinati, di una porzione del demanio marittimo.
La sua particolarità rispetto agli altri provvedimenti concessori discende proprio dalla natura del bene pubblico affidato in concessione, il quale trova le sue principali regole nel codice della navigazione, che stabiliva in particolare, in caso di pluralità di richiedenti, la prevalenza del diritto di insistenza nonché dei criteri preferenziali della maggior proficua utilizzazione del bene e del più rilevante interesse pubblico del suo uso.
Il sistema di affidamento in concessione dei beni demaniali marittimi ha ricevuto nel tempo, sulla spinta delle disposizioni dettate dall’ordinamento comunitario, una progressiva erosione delle precedenti regole volte a privilegiare la posizione rivestita dal precedente titolare della concessione.
Allo stato attuale i criteri informatori della materia sono rigidamente ancorati al principio, di matrice comunitaria, che impone l’esperimento di una procedura comparativa ai fini dell’affidamento in concessione di un bene del demanio marittimo.
Aldilà della fase costitutiva del rapporto, certamente la più rilevante per i casi concreti da risolvere, il rapporto di concessione dei beni demaniali marittimi presenta ulteriori aspetti di interesse quali (i) la revoca della concessione, (ii) la decadenza dalla concessione, (iii) l’occupazione illegittima di suolo demaniale, (iv) l’acquisizione allo Stato delle opere non amovibili costruite su area demaniale marittima, (v) gli strumenti di tutela pubblica dei beni del demanio marittimo.
Proroga legale delle concessioni demaniali: è un tema di notevole attualità e rilevanza, in quanto viene ad investire la questione che concerne il conflitto tra le diverse norme statali che hanno disposto la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in corso di efficacia e la normativa comunitaria – in particolare la direttiva Bolkestein – improntata ai principi di libera circolazione dei servizi, di par condicio, di imparzialità e di trasparenza.
Il punto di soluzione del contrasto risulta ormai raggiunto, specie alla luce della decisione della Corte di Giustizia UE del 14.7.2016, la quale ha dichiarato la contrarietà all’ordinamento comunitario di una normativa nazionale che preveda la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative, in corso di efficacia, nell’assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati.
La medesima decisione ha peraltro riconosciuto la legittimità dei casi in cui le proroghe attuate dalla normativa nazionale, laddove mirino a consentire ai concessionari di ammortizzare i loro investimenti, siano giustificate da motivi imperativi di interesse generale, in particolare dalla necessità di rispettare il principio della certezza del diritto, specie con riferimento al rilascio di concessioni in un periodo in cui non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza, rendendosi in questi casi necessaria la fissazione di un periodo transitorio che permetta alle parti di sciogliere il rapporto contrattuale a condizioni accettabili, in particolare dal punto di vista economico.
In termini generali, dunque, le disposizioni legislative nazionali che stabiliscono la proroga automatica della durata delle concessioni demaniali marittime devono essere disapplicate in quanto si pongono in contrasto con i principi affermati dalla Corte di Giustiza UE attraverso le sentenze interpretative delle direttive comunitarie, aventi anch’esse valore vincolante per il legislatore nazionale.
Canoni demaniali: è un tema di grande valore pratico in quanto generatore di un notevole contenzioso.
a) Una prima questione riguarda l’applicazione dell’art. 47 cod. nav. laddove stabilisce che la p.a. può dichiarare la decadenza del concessionario anche per “omesso pagamento del canone per il numero di rate fissato a questo effetto dall’atto di concessione”, che viene in prevalenza inteso come attributivo di un potere autoritativo vincolato, dovendo l’amministrazione limitarsi a riscontrare la sussistenza dei presupposto richiesto dalla legge; peraltro, anche in una prospettiva prettamente civilistica, la previsione di cui sopra assume la veste di una clausola risolutiva espressa, al maturare della quale opera di diritto la risoluzione del rapporto senza alcuna prova della gravità dell’altrui inadempimento.
b) Altra questione attiene all’individuzione del giudice competente a decidere in materia, da risolvere nel senso che, nell’ambito delle concessioni demaniali, le controversie riservate al giudice ordinario su “indennità, canoni ed altri corrispettivi” sono solo quelle a contenuto patrimoniale, nelle quali non assume cioè rilievo un potere di intervento della p.a. a tutela di interessi generali, mentre sono devolute al giudice amministrativo quelle che coinvolgono l'azione autoritativa della p.a. sul rapporto concessorio sottostante, aventi ad oggetto provvedimenti autoritativi e dei quali si chieda in via principale la valutazione al giudice adito per l'annullamento, ovvero investano l'esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del dovuto e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economici, sia sull'an che sul quantum.
c) Esiste poi l’ulteriore tema – di diritto intertemporale – consistente nella necessità di valutare se le opere di difficile rimozione ricadenti in un’area assegnata in concessione abbiano natura sin dal principio di pertinenze demaniali, e quindi già di proprietà statale al momento del rilascio della concessione, ovvero siano state realizzate dal privato in corso di rapporto, diventando così pertinenze demaniali solo alla scadenza della concessione, giacché nel primo caso le relative aree dovranno essere assoggettate al canone concessorio calcolato in base alle disposizioni che ne hanno rideterminato i criteri (art. 1, c. 252, della L. n. 296/2006), mentre nel secondo caso tale nuova disciplina, che estende i criteri di calcolo alle opere realizzate a cura del concessionario, potrà trovare applicazione solo per gli atti concessori adottati dopo la sua entrata in vigore.
Piano di utilizzo dei litorali (PUL): è una figura che ha subìto nel tempo una radicale trasformazione di funzioni e di contenuti della quale non si è acquisita ancora oggi una piena consapevolezza.
I passaggi normativi di rilievo sono: (a) l’art. 59 del D.P.R. n. 616/1977, con cui sono state delegate alle regioni le funzioni amministrative sul litorale marittimo e sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, quando l’utilizzo previsto abbia finalità turistico-ricreative; (b) l’art. 6 del D.L. n. 400/1993, che ha attribuito alle regioni – sul presupposto dell’effettività della delega di cui sopra – la funzione di predisporre un piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimo, previa acquisizione dei pareri dei soggetti pubblici e privati dalla stessa norma individuati; (c) gli artt. 40 e 41 della L.R. sarda n. 9/2006, che attribuisce alla Regione il compito di adottare gli atti generali di indirizzo per la redazione dei Piani comunali di utilizzo dei litorali e ai comuni quello della loro elaborazione ed approvazione, (d) l’art. 21, c. 1, lett. d-bis, della L.R. sarda n. 45/1989, che ricomprende i Piani di utilizzo dei litorali tra gli strumenti urbanistici attuativi; e) l’art. 22-bis della L.R. sarda n. 45/1989, che definisce il Piano per l’utilizzo dei litorali (Pul) lo strumento con cui i comuni disciplinano l’utilizzazione delle aree demaniali marittime con finalità turistico-ricreative e regolamentano l’organizzazione del territorio immediatamente contiguo ai litorali.
Nella sua attuale configurazione così come impressa dal legislatore sardo, che gli attribuisce, da un lato, la veste di strumento di disciplina dell’utilizzo delle aree demaniali marittime con finalità turistico-ricreative e, dall’altro, quella di strumento urbanistico attuativo, il Pul presenta notevoli aspetti di interesse talvolta di non facile soluzione, tra i quali meritano richiamo (i) il regime giuridico delle aree private ricomprese nel Pul, (ii) le conseguenze dirette sul contenuto del Pul discendenti dalla sentenza della Corte Cost. n. 178/2018, che ha espunto dall’art. 10-bis, comma 2, lett. i-bis, della L.R. sarda n. 45/1989, le ipotesi che escludevano dal vincolo di inedificabilità assoluta nella fascia dei 300 metri dal mare la realizzazione di parcheggi e di strutture di facile rimozione a servizio della balneazione e della ristorazione, posto che l’esecuzione di tali opere all’interno del demanio marittimo costituisce proprio una delle finalità perseguite, a termini di legge, dal Pul, (iii) il principio per cui gli interventi edilizi eseguiti in conformità al Pul sono compatibili con ogni destinazione di zona omogenea e non soggiacciono ai relativi parametri, (iv) l’eventuale limitazione per i proprietari di aree contigue al demanio marittimo della possibilità di installare lo stesso tipo di strutture a servizio della balneazione e della ristorazione di quelle localizzate dal Pul, in violazione del principio di libertà di iniziativa economica privata stabilito dall’art. 41 Cost.
Concessione demaniale e titolo edilizio: sotto l’aspetto edilizio la concessione demaniale marittima costituisce il titolo amministrativo necessario a comprovare, in capo al concessionario, la disponibilità giuridica dell’area in cui dovrà essere eseguito l’intervento costruttivo, pur non essendo la stessa di sua proprietà perché nella titolarità eclusiva dello Stato.
Si tratta dunque di un profilo che attiene alla fase propedeutica al rilascio del titolo edilizio, quello della legittimazione alla presentazione dell’istanza, con la particolarità che l’attività istruttoria spettante in questo caso al comune consiste anche nella verifica della corrispondenza o compatibilità dell’intervento progettato con il contenuto del titolo concessorio, nel senso che il permesso di costruire potrà essere rilasciato solo qualora l’esecuzione dell’opera sia un’attività ricompresa nel contenuto del diritto acquisito dal privato con il rilascio della concessione demaniale.
Parimenti, nel caso in cui un intervento costruttivo pienamente legittimo sotto il profilo edilizio costituisca invece violazione del rapporto di concessione demaniale, l’autorità marittima è investita del potere repressivo riconosciutole dall’art. 54 cod. nav., che si traduce nell’ingiunzione al trasgressore di rimettere in pristino stato entro un termine tassativo il bene modificato e, in caso di inottemperanza, a provvedere d’ufficio a spese dell’interessato.
Regime edilizio e paesaggistico del mare territoriale: argomento poco trattato perché non riconnesso a particolari profili da risolvere, ma che presenta in realtà alcuni aspetti di fondo spesso trascurati, consistenti nello stabilire, da un lato, se le opere da realizzare nel mare territoriale richiedano anch’esse il rilascio del titolo edilizio (e paesaggistico), dall’altro, in caso di risposta positiva, quale sia la disciplina urbanistica comunale da applicare in concreto a tale intervento.
A) La materia risulta informata ad alcuni principi: (a) il territorio nazionale, inteso come spazio nell’ambito del quale si esercita la potestà d’imperio dello Stato, comprende, oltre la terraferma, anche il mare territoriale; (b) estensione della disciplina dei beni demaniali – in quanto compatibile – anche al mare territoriale, pur non rientrando quest’ultimo tra i predetti beni perché ricompreso nella categoria delle res communis omnium; (c) compresenza e coesercizio di poteri statali, regionali e comunali sull’intero territorio dello Stato, ivi compreso il mare territoriale, non essendo configurabile che su una porzione del territorio in senso lato, su cui si esercita la sovranità dello Stato, non convivano i poteri delle autorità regionali e locali; (d) l’espresso conferimento allo Stato di poteri autoritativi concernenti attività svolte sul mare territoriale non preclude alle altre amministrazioni di esercitare il loro diverso potere sul medesimo bene; (e) in particolare, il potere urbanistico del comune non è limitato alla sola terraferma ma si estende anche al mare territoriale prospiciente quest’ultima, ogniqualvolta sia realizzata un’opera che per la distanza dalla spiaggia sia idonea a causare un’apprezzabile alterazione dello stato dei luoghi in cui risiede la popolazione comunale; (f) nel dettaglio, ai fini della costruzione di un pontile galleggiante per l’ormeggio di imbarcazioni da diporto, ancorato al fondo marino mediate catene legate a corpi morti in calcestruzzo armato, è necessario il rilascio della concessione edilizia, trattandosi di un’opera non precaria ma stabile, che incide in modo rilevante sull’assetto paesistico del territorio; (g) una volta affermata la regola che assoggetta all’ordinario regime degli interventi edilizi anche le opere realizzate sul mare territoriale, ogni singolo caso dovrà essere definito sulla scorta di tali prescrizioni, tra le quale assumono specifico rilievo quelle relative agli interventi di nuova costruzione (art. 3, comma 1, lett. e.5), del D.P.R. n. 380/2001).
B) Resta però del tutto aperta l’ulteriore questione della disciplina urbanistica comunale da applicare in concreto a tali interventi, posto che quasi sempre i comuni costieri non si fanno cura di ricomprendere nel piano urbanistico generale, ai fini della loro disciplina, le zone del mare territoriale.
Un tale vuoto di regolazione urbanistica non appare superabile attraverso l’incerto criterio della “maggiore prossimità alla costa” del tratto di mare interessato, tale per cui quest’ultimo riceverebbe la medesima disciplina di quella. In realtà, l’unico criterio conforme a diritto risulta essere quello previsto dall’art. 9 del D.P.R. n. 380/2001 per le “zone bianche”, quelle cioè sprovviste di destinazione urbanistica, fermo restando l’obbligo per il comune di provvedere ad assegnare loro una specifica destinazione.
Normativa comunitaria in materia: si è sviluppata principalmente intorno a due questioni, tra loro connesse: a) la compatibilità all’ordinamento comunitario del diritto preferenziale accordato dalle norme nazionali al precedente titolare di una concessione demaniale marittima; b) la compatibilità all’ordinamento comunitario delle norme nazionali che hanno disposto la proroga automatica delle concessioni demaniali in corso di efficacia.
A) Sulla spinta della direttiva n. 2006/123 (direttiva Bolkestein) relativa ai servizi nel mercato interno, ispirata ai principi di libera circolazione dei servizi, di par condicio, di imparzialità e di trasparenza, il nostro ordinamento è venuto a sopprimere il diritto di “insistenza”, cioè il diritto di preferenza accordato al concessionario uscente, cosicché l’amministrazione che intenda procedere a una nuova concessione del bene demaniale marittimo con finalità turistico-ricreativa è tenuta ad indire – ai sensi dell’art. 37 cod. nav. – una procedura selettiva, dando prevalenza alla proposta di gestione privata del bene che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e risponda a un più rilevante interesse pubblico anche sotto il profilo economico.
B) Con la decisione del 14.7.2016 la Corte di Giustizia UE, sempre richiamandosi alla direttiva Bolkestein, ha dichiarato la contrarietà all’ordinamento comunitario della normativa statale italiana laddove ha previsto la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative in corso di efficacia nell’assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati, equivalendo ciò a un rinnovo automatico delle predette autorizzazioni. Ne discende che le norme statali che hanno stabilito la proroga automatica della durata delle concessioni demaniali marittime devono essere disapplicate perché in contrasto con la menzionata sentenza della Corte di Giustiza UE, la quale, in quanto dotata di valore interpretativo della direttiva Bolkestein, costituisce anch’essa fonte di produzione normativa comunitaria vincolante per il legislatore nazionale (cfr. già Corte Cost. n. 113/1985).