Paesaggio
Formazione del vincolo paesaggistico: rappresenta il momento genetico della tutela del valore paesaggistico presente in un determinato punto del territorio, il quale trova attuazione nelle diverse categorie di beni paesaggistici istituite, in termini vincolanti, dal Codice del Paesaggio (c.d. Codice Urbani), ove sono ricomprese le figure degli (i) “immobili ed aree di notevole interesse pubblico di cui all’articolo 136”, individuati secondo uno specifico procedimento, delle (ii) “aree tutelate per legge” di cui all’art. 142 e degli (iii) “ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell’articolo 136”.
Particolare interesse riveste, per tutti i territori costieri, il vincolo apposto per legge sui “territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare”, che costituisce un vincolo di per sè strettamente paesaggistico, in senso cioè non preclusivo in assoluto della possibilità di edificare al suo interno ma solo condizionante gli interventi al previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica; in realtà la sua rilevanza è assai maggiore, in quanto, dovendo il vincolo dei 300 metri dalla linea di battigia ricevere disciplina dalla pianificazione congiunta tra stato e regioni in sede di piano paesaggistico regionale (PPR), le previsioni di quest’ultimo saranno obbligatorie anche per la legislazione regionale urbanistica che abbia introdotto dei limiti edificatori meno stringenti in relazione a quella fascia di tutela.
Autorizzazione paesaggistica: è lo strumento amministrativo su cui si fonda il sistema di tutela dei valori paesaggistici presenti in una zona, che si traduce nella regola generale per cui i proprietari o possessori di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge o in base alla legge, si devono astenere dal realizzare qualsiasi intervento su di essi fino a quando non abbiano ottenuto la relativa autorizzazione.
Il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione si articola in diverse fasi, affidate alla competenza ripartita dell’autorità regionale e di quella statale, all’interno del quale quest’ultima viene attualmente a rivestire un ruolo decisivo essendo chiamata ad esprimere un parere vincolante rispetto alla proposta di provvedimento formulata dall’organo regionale, che è poi chiamato ad adottare il provvedimento finale in piena conformità al contenuto del parere vincolante di matrice statale. Una tale articolazione di fasi è cadenzata dal rispetto di termini ben precisi stabiliti dalla legge, il superamento dei quali trova ora la sua specifica disciplina nell’istituto del silenzio-assenso tra amministrazioni pubbliche come regolato dall’art. 17-bis della L. n. 241/1990.
In realtà, tale complessivo modello risulta sostanzialmente superato dall’attuale obbligo di presentare le domande per il rilascio dei titoli edilizi e paesaggistici attraverso lo Sportello unico per le attività produttive e per l’edilizia del comune di riferimento (Suape), nell’ambito del quale opera poi, come sistema deputato a valutare la richiesta di rilascio di più titoli autorizzatori, il modulo della conferenza di servizi, assoggettato a delle regole del tutto peculiari in caso di inerzia di una delle amministrazioni interessate ovvero in termini di formazione della volontà delle stesse attraverso il provvedimento finale unico.
Esclusione dell’autorizzazione paesaggistica: si tratta di uno speciale regime di favore riconosciuto dalla legge agli interventi che presentano un grado di rilevanza paesaggistica pressoché inesistente, il quale ha interessato in origine solo alcune tipologie di opere minori (in particolare, manutenzione ordinaria e straordinaria, consolidamento statico e restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici) ma che ha ricevuto in seguito ampia estensione attraverso un rinvio della legge primaria alla normativa di rango secondario, mediante la formazione di un dettagliato elenco contenente la descrizione dei singoli interventi per i quali non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica.
Un simile strumento normativo, concepito a fini semplificativi, ha però generato nella realtà applicativa non poche incertezze, discendenti dal fatto che la stessa normazione secondaria ha dato corso a una duplicità di regime per le opere minori, da un lato quelle sottoposte ad autorizzazione semplificata e dall’altro quelle esenti dall’autorizzazione, attraverso la formazione di due distinti elenchi contenenti la descrizione di ciascuna di esse, le quali presentano però delle corrispondenze tanto marcate tra di loro da rendere spesso assai incerta e problematica l’inclusione in una o nell’altra categoria delle singole opere realizzate, determinando così conseguenze talvolta gravose in capo al diretto interessato, che possono anche tradursi nella contestazione di un illecito paesaggistico.
Illeciti paesaggistici: è una figura correlata all’istituto dell’autorizzazione paesaggistica, in quanto sono considerati tali tutti gli interventi di trasformazione del territorio che, pur necessitanti del titolo amministrativo, sono stati realizzati in difetto di esso. Condizione necessaria per la loro sussistenza è che, evidentemente, l’opera sia stata eseguita quando risultava già apposto sull’immobile interessato il relativo vincolo.
Vengono colpiti dalla legge con sanzioni sia amministrative che penali, tra le quali riveste carattere assorbente quella della rimessione in pristino, che in caso di mancata ottemperanza dell’interessato viene eseguita d’ufficio anche attraverso il ricorso al potere sostitutivo, qualora vi sia inerzia da parte dell’autorità a ciò preposta.
Di particolare interesse è l’istituto del ravvedimento operoso regolato dall’art. 181, comma 1-quinquies, del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice del Paesaggio), per il quale la rimessione in pristino dell’immobile vincolato prima che la stessa sia disposta dall’autorità amministrativa, e comunque prima della condanna penale, estingue il reato paesaggistico.
Accertamento di compatibilità paesaggistica: è un istituto funzionale alla sanatoria dell’illecito paesaggistico, che trova una sorta di correlazione nella figura dell’accertamento di conformità di carattere urbanistico, avente anch’esso effetti sananti delle conseguenze nascenti dall’abuso edilizio.
In materia di paesaggio i margini di operatività sono però assai più ristretti rispetto all’istituto urbanistico, dal momento che la compatibilità paesaggistica può essere dichiarata solo per interventi di minimo valore impattante, corrispondenti ai lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria e a quelli che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente autorizzati.
Il procedimento per il rilascio del titolo di sanatoria paesaggistica ricalca, sostanzialmente, quello previsto per il rilascio dell’autorizzazione ordinaria, anche qui con il potere congiuntamente attribuito alla regione e allo stato, quest’ultimo chiamato ad emettere il parere vincolante al quale l’autorità regionale deve poi uniformarsi, con previsione di termini perentori per l’assunzione delle rispettive decisioni il cui superamento determina gli effetti del silenzio-assenso tra amministrazioni previsto dall’art. 17-bis della L. n. 241/1990.
Per converso, il silenzio finale dell’autorità regionale non comporta la formazione del silenzio-assenso, ma solo l’insorgere del diritto dell’interessato ad impugnare dinanzi al giudice amministrativo tale illegittima inerzia.
E’ oggetto di contrasto tra la normativa statale e quella regionale se il giudizio di compatibilità paesaggistica debba essere assoggetato o meno al procedimento unico dinanzi al Suape e, dunque, anche alla conferenza di servizi, con tutti i particolari effetti giuridici che quest’ultima comporta sia in caso di inerzia di una delle amministrazioni sia in sede di determinazione finale unica.
Il rilascio del titolo di compatibilità paesaggistica determina l’estinzione del reato paesaggistico commesso, anche se rimane ferma l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.
Autorizzazione paesaggistica e titolo edilizio: il rapporto tra tali atti ha subito nel tempo una modifica di inquadramento sistematico, configurandosi in principio l’autorizzazione paesaggistica come condizione di efficacia della concessione edilizia, nel senso che quest’ultima, pur essendo autonomamente assentibile, non poteva comunque dispiegare la sua efficacia fino a che non fosse intervenuto il rilascio del nulla-osta paesaggistico. Una tale impostazione si è poi modificata nel tempo, giungendo all’attuale riconoscimento normativo per cui l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire, il quale dunque, qualora venisse rilasciato in assenza del necessario nulla-osta paesaggistico, sarebbe colpito non più da una mera inefficacia (sempre superabile con il sopraggiungere dell’atto) ma da una vera e propria invalidità, per mancanza di un atto presupposto (non superabile nemmeno con il sopraggiungere di esso). Peraltro, tale specifico aspetto risulta ormai sostanzialmente superato dall’attuale obbligo di presentare le domande per il rilascio dei titoli edilizi e paesaggistici attraverso il Suape comunale, ove assume particolare rilevanza il modulo della conferenza di servizi, avente regole peculiari sia in caso di inerzia delle amministrazioni interessate sia in termini di formazione della loro volontà, la quale è ricondotta ad un provvedimento finale unico. Del resto, proprio la disciplina sul procedimento unico stabilisce espressamente che, all’interno di esso, non è consentito procedere al frazionamento della pratica mediante il rilascio di singoli titoli abilitativi.
Il collegamento tra titolo paesaggistico ed edilizio trova invece una sua rilevanza nella disposizione per cui il termine di efficacia del primo (cinque anni) decorre non già dal giorno del suo rilascio ma solo da quello – evidentemente successivo – in cui acquista efficacia il titolo edilizio.
Autorizzazione paesaggistica nel condono edilizio: è un tema che ruota intorno a due distinte categorie di abusi: (i) opere non suscettibili di sanatoria, per la presenza di vincoli che comportano l’inedificabilità assoluta e sono stati imposti prima dell’edificazione delle opere abusive (art. 33 L. n. 47/1985); (ii) opere costruite su aree sottoposte a vincolo, il quale determina una sorta di inedificabilità relativa, nel senso che l’edificazione dell’opera abusiva richiede la preventiva acquisizione dell’atto abilitativo in materia (art. 32 L. n. 47/1985). Spesso si assiste peraltro a una traslazione di disciplina tra le due figure, nel senso che, anche qualora l’abuso non possa essere ricompreso tra i casi di “inedificabilità assoluta” in quanto realizzato prima dell’introduzione del vincolo, cionondimeno lo stesso viene attratto alla meno rigida disciplina dei casi di “inedificabilità relativa”, risultando il provvedimento di condono comunque subordinato al rilascio del parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
Non esistendo in materia paesaggistica dei vincoli tali da comportare l’inedificabilità assoluta, la presenza di essi in una pratica di condono determina la figura della “inedificabilità relativa”, da cui discende, ai fini del condono, la necessità del rilascio del parere paesaggistico favorevole.
A sua volta, nella disciplina sul condono il mancato rilascio di tale parere entro il termine stabilito dalla legge, da parte dell’organo chiamato ad adottarlo, determina una fattispecie di silenzio-rifiuto, facendo sorgere per l’interessato l’onere di impugnarlo in giudizio.
Piano Paesaggistico Regionale (PPR): costituisce lo strumento fondamentale di pianificazione paesaggistica, quale espressione del potere, conferito dalla legge alle regioni, di sottoporre a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici ovvero piani urbanistico-territorali con specifica considerazione dei valori paesaggistici. In relazione a una parte della disciplina dei beni paesaggistici è previsto l’esercizio del potere di pianificazione congiunta tra stato e regioni, il quale costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico che, in quanto tale, rappresenta uno dei limiti di portata costituzionale ai quali è subordinata la legislazione regionale anche di carattere esclusivo, come è quella sarda in materia sia urbanistica che paesaggistica. Ed è in base a questo principio che, nella regione Sardegna, è stata affermata la prevalenza di una parte del PPR rispetto alle previsioni della legge sul “Piano casa” che si pongano in contrasto con esso.
Il PPR presenta un contenuto assai articolato, il cui testo originario ha subito da tempo alcune soppressioni per effetto delle decisioni di parziale annullamento del giudice amministrativo, chiamato a pronunciarsi su di esso stante la sua natura di atto amministrativo e non di provvedimento legislativo.
E’ uno strumento destinato a vincolare il contenuto della pianificazione urbanistica comunale, per la quale vige l’obbligo di adeguarsi ad esso, trovando nelle more applicazione, fino a quando i singoli comuni non avranno provveduto ad approvare un nuovo Puc in adeguamento al PPR, una specifica e restrittiva disciplina transitoria, applicabile peraltro ai soli ambiti costieri come delimitati dallo stesso Piano, le cui disposizioni sono state interessate da una vasta serie di contenziosi.
Particolare interesse riveste, per tutti i territori costieri, il vincolo apposto per legge sui “territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare”, che costituisce un vincolo di per sè strettamente paesaggistico, in senso cioè non preclusivo in assoluto della possibilità di edificare al suo interno ma solo condizionante gli interventi al previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica; in realtà la sua rilevanza è assai maggiore, in quanto, dovendo il vincolo dei 300 metri dalla linea di battigia ricevere disciplina dalla pianificazione congiunta tra stato e regioni in sede di piano paesaggistico regionale (PPR), le previsioni di quest’ultimo saranno obbligatorie anche per la legislazione regionale urbanistica che abbia introdotto dei limiti edificatori meno stringenti in relazione a quella fascia di tutela.
Autorizzazione paesaggistica: è lo strumento amministrativo su cui si fonda il sistema di tutela dei valori paesaggistici presenti in una zona, che si traduce nella regola generale per cui i proprietari o possessori di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge o in base alla legge, si devono astenere dal realizzare qualsiasi intervento su di essi fino a quando non abbiano ottenuto la relativa autorizzazione.
Il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione si articola in diverse fasi, affidate alla competenza ripartita dell’autorità regionale e di quella statale, all’interno del quale quest’ultima viene attualmente a rivestire un ruolo decisivo essendo chiamata ad esprimere un parere vincolante rispetto alla proposta di provvedimento formulata dall’organo regionale, che è poi chiamato ad adottare il provvedimento finale in piena conformità al contenuto del parere vincolante di matrice statale. Una tale articolazione di fasi è cadenzata dal rispetto di termini ben precisi stabiliti dalla legge, il superamento dei quali trova ora la sua specifica disciplina nell’istituto del silenzio-assenso tra amministrazioni pubbliche come regolato dall’art. 17-bis della L. n. 241/1990.
In realtà, tale complessivo modello risulta sostanzialmente superato dall’attuale obbligo di presentare le domande per il rilascio dei titoli edilizi e paesaggistici attraverso lo Sportello unico per le attività produttive e per l’edilizia del comune di riferimento (Suape), nell’ambito del quale opera poi, come sistema deputato a valutare la richiesta di rilascio di più titoli autorizzatori, il modulo della conferenza di servizi, assoggettato a delle regole del tutto peculiari in caso di inerzia di una delle amministrazioni interessate ovvero in termini di formazione della volontà delle stesse attraverso il provvedimento finale unico.
Esclusione dell’autorizzazione paesaggistica: si tratta di uno speciale regime di favore riconosciuto dalla legge agli interventi che presentano un grado di rilevanza paesaggistica pressoché inesistente, il quale ha interessato in origine solo alcune tipologie di opere minori (in particolare, manutenzione ordinaria e straordinaria, consolidamento statico e restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici) ma che ha ricevuto in seguito ampia estensione attraverso un rinvio della legge primaria alla normativa di rango secondario, mediante la formazione di un dettagliato elenco contenente la descrizione dei singoli interventi per i quali non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica.
Un simile strumento normativo, concepito a fini semplificativi, ha però generato nella realtà applicativa non poche incertezze, discendenti dal fatto che la stessa normazione secondaria ha dato corso a una duplicità di regime per le opere minori, da un lato quelle sottoposte ad autorizzazione semplificata e dall’altro quelle esenti dall’autorizzazione, attraverso la formazione di due distinti elenchi contenenti la descrizione di ciascuna di esse, le quali presentano però delle corrispondenze tanto marcate tra di loro da rendere spesso assai incerta e problematica l’inclusione in una o nell’altra categoria delle singole opere realizzate, determinando così conseguenze talvolta gravose in capo al diretto interessato, che possono anche tradursi nella contestazione di un illecito paesaggistico.
Illeciti paesaggistici: è una figura correlata all’istituto dell’autorizzazione paesaggistica, in quanto sono considerati tali tutti gli interventi di trasformazione del territorio che, pur necessitanti del titolo amministrativo, sono stati realizzati in difetto di esso. Condizione necessaria per la loro sussistenza è che, evidentemente, l’opera sia stata eseguita quando risultava già apposto sull’immobile interessato il relativo vincolo.
Vengono colpiti dalla legge con sanzioni sia amministrative che penali, tra le quali riveste carattere assorbente quella della rimessione in pristino, che in caso di mancata ottemperanza dell’interessato viene eseguita d’ufficio anche attraverso il ricorso al potere sostitutivo, qualora vi sia inerzia da parte dell’autorità a ciò preposta.
Di particolare interesse è l’istituto del ravvedimento operoso regolato dall’art. 181, comma 1-quinquies, del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice del Paesaggio), per il quale la rimessione in pristino dell’immobile vincolato prima che la stessa sia disposta dall’autorità amministrativa, e comunque prima della condanna penale, estingue il reato paesaggistico.
Accertamento di compatibilità paesaggistica: è un istituto funzionale alla sanatoria dell’illecito paesaggistico, che trova una sorta di correlazione nella figura dell’accertamento di conformità di carattere urbanistico, avente anch’esso effetti sananti delle conseguenze nascenti dall’abuso edilizio.
In materia di paesaggio i margini di operatività sono però assai più ristretti rispetto all’istituto urbanistico, dal momento che la compatibilità paesaggistica può essere dichiarata solo per interventi di minimo valore impattante, corrispondenti ai lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria e a quelli che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente autorizzati.
Il procedimento per il rilascio del titolo di sanatoria paesaggistica ricalca, sostanzialmente, quello previsto per il rilascio dell’autorizzazione ordinaria, anche qui con il potere congiuntamente attribuito alla regione e allo stato, quest’ultimo chiamato ad emettere il parere vincolante al quale l’autorità regionale deve poi uniformarsi, con previsione di termini perentori per l’assunzione delle rispettive decisioni il cui superamento determina gli effetti del silenzio-assenso tra amministrazioni previsto dall’art. 17-bis della L. n. 241/1990.
Per converso, il silenzio finale dell’autorità regionale non comporta la formazione del silenzio-assenso, ma solo l’insorgere del diritto dell’interessato ad impugnare dinanzi al giudice amministrativo tale illegittima inerzia.
E’ oggetto di contrasto tra la normativa statale e quella regionale se il giudizio di compatibilità paesaggistica debba essere assoggetato o meno al procedimento unico dinanzi al Suape e, dunque, anche alla conferenza di servizi, con tutti i particolari effetti giuridici che quest’ultima comporta sia in caso di inerzia di una delle amministrazioni sia in sede di determinazione finale unica.
Il rilascio del titolo di compatibilità paesaggistica determina l’estinzione del reato paesaggistico commesso, anche se rimane ferma l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.
Autorizzazione paesaggistica e titolo edilizio: il rapporto tra tali atti ha subito nel tempo una modifica di inquadramento sistematico, configurandosi in principio l’autorizzazione paesaggistica come condizione di efficacia della concessione edilizia, nel senso che quest’ultima, pur essendo autonomamente assentibile, non poteva comunque dispiegare la sua efficacia fino a che non fosse intervenuto il rilascio del nulla-osta paesaggistico. Una tale impostazione si è poi modificata nel tempo, giungendo all’attuale riconoscimento normativo per cui l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire, il quale dunque, qualora venisse rilasciato in assenza del necessario nulla-osta paesaggistico, sarebbe colpito non più da una mera inefficacia (sempre superabile con il sopraggiungere dell’atto) ma da una vera e propria invalidità, per mancanza di un atto presupposto (non superabile nemmeno con il sopraggiungere di esso). Peraltro, tale specifico aspetto risulta ormai sostanzialmente superato dall’attuale obbligo di presentare le domande per il rilascio dei titoli edilizi e paesaggistici attraverso il Suape comunale, ove assume particolare rilevanza il modulo della conferenza di servizi, avente regole peculiari sia in caso di inerzia delle amministrazioni interessate sia in termini di formazione della loro volontà, la quale è ricondotta ad un provvedimento finale unico. Del resto, proprio la disciplina sul procedimento unico stabilisce espressamente che, all’interno di esso, non è consentito procedere al frazionamento della pratica mediante il rilascio di singoli titoli abilitativi.
Il collegamento tra titolo paesaggistico ed edilizio trova invece una sua rilevanza nella disposizione per cui il termine di efficacia del primo (cinque anni) decorre non già dal giorno del suo rilascio ma solo da quello – evidentemente successivo – in cui acquista efficacia il titolo edilizio.
Autorizzazione paesaggistica nel condono edilizio: è un tema che ruota intorno a due distinte categorie di abusi: (i) opere non suscettibili di sanatoria, per la presenza di vincoli che comportano l’inedificabilità assoluta e sono stati imposti prima dell’edificazione delle opere abusive (art. 33 L. n. 47/1985); (ii) opere costruite su aree sottoposte a vincolo, il quale determina una sorta di inedificabilità relativa, nel senso che l’edificazione dell’opera abusiva richiede la preventiva acquisizione dell’atto abilitativo in materia (art. 32 L. n. 47/1985). Spesso si assiste peraltro a una traslazione di disciplina tra le due figure, nel senso che, anche qualora l’abuso non possa essere ricompreso tra i casi di “inedificabilità assoluta” in quanto realizzato prima dell’introduzione del vincolo, cionondimeno lo stesso viene attratto alla meno rigida disciplina dei casi di “inedificabilità relativa”, risultando il provvedimento di condono comunque subordinato al rilascio del parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
Non esistendo in materia paesaggistica dei vincoli tali da comportare l’inedificabilità assoluta, la presenza di essi in una pratica di condono determina la figura della “inedificabilità relativa”, da cui discende, ai fini del condono, la necessità del rilascio del parere paesaggistico favorevole.
A sua volta, nella disciplina sul condono il mancato rilascio di tale parere entro il termine stabilito dalla legge, da parte dell’organo chiamato ad adottarlo, determina una fattispecie di silenzio-rifiuto, facendo sorgere per l’interessato l’onere di impugnarlo in giudizio.
Piano Paesaggistico Regionale (PPR): costituisce lo strumento fondamentale di pianificazione paesaggistica, quale espressione del potere, conferito dalla legge alle regioni, di sottoporre a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici ovvero piani urbanistico-territorali con specifica considerazione dei valori paesaggistici. In relazione a una parte della disciplina dei beni paesaggistici è previsto l’esercizio del potere di pianificazione congiunta tra stato e regioni, il quale costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico che, in quanto tale, rappresenta uno dei limiti di portata costituzionale ai quali è subordinata la legislazione regionale anche di carattere esclusivo, come è quella sarda in materia sia urbanistica che paesaggistica. Ed è in base a questo principio che, nella regione Sardegna, è stata affermata la prevalenza di una parte del PPR rispetto alle previsioni della legge sul “Piano casa” che si pongano in contrasto con esso.
Il PPR presenta un contenuto assai articolato, il cui testo originario ha subito da tempo alcune soppressioni per effetto delle decisioni di parziale annullamento del giudice amministrativo, chiamato a pronunciarsi su di esso stante la sua natura di atto amministrativo e non di provvedimento legislativo.
E’ uno strumento destinato a vincolare il contenuto della pianificazione urbanistica comunale, per la quale vige l’obbligo di adeguarsi ad esso, trovando nelle more applicazione, fino a quando i singoli comuni non avranno provveduto ad approvare un nuovo Puc in adeguamento al PPR, una specifica e restrittiva disciplina transitoria, applicabile peraltro ai soli ambiti costieri come delimitati dallo stesso Piano, le cui disposizioni sono state interessate da una vasta serie di contenziosi.