Procedimento amministrativo
Accesso ai documenti amministrativi: consiste nel diritto di prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi riconosciuto dalla legge a ciascun soggetto che vanti un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per cui è richiesto l’accesso. Una tale prerogativa, considerate le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza; ne discende l’affermazione dell’ulteriore principio, enunciato dalla stessa legge, della massima ostensione dei documenti amministrativi, salve le limitazioni giustificate dalla necessità di contemperare tale interesse generale con altri interessi meritevoli di tutela. Sotto il profilo soggettivo, la legittimazione all'accesso agli atti della p.a. spetta a chiunque possa dimostrare che il provvedimento o gli atti endoprocedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica e, quindi, dalla circostanza che la lesione attenga a un diritto soggettivo ovvero a un interesse legittimo, essendo il diritto di accesso agli atti strettamente inerente al fondamentale principio di diritto alla difesa sancito dall'art. 24 Cost.
Da ciò discende che né l'amministrazione né il giudice sono investiti del potere di stabilire la concreta utilità degli atti richiesti, dovendo essi limitarsi a verificare che l'istante sia titolare di una posizione giuridicamente rilevante e che il suo interesse si fondi su tale posizione, cosicché, in particolare, nell’ipotesi di accesso agli atti motivato con la difesa degli interessi giuridici del soggetto istante, il giudice dell'accesso non può che compiere una valutazione in astratto della necessità difensiva evidenziata dall'interessato e della pertinenza del documento, non potendo sindacare la concreta utilità dello stesso ai fini della vittoriosa conclusione di quel giudizio.
Intorno a questo istituto, oggetto di grande diffusione nella pratica, si sono innestate diverse questioni, concenenti in particolare (i) il necessario grado di specificazione dell’istanza ai fini della sua presa in carico, (ii) la necessaria provenienza dell’istanza dal diretto interessato, (iii) il silenzio amministrativo sulla domanda di accesso e la formazione del diniego tacito, (iv) la natura decadenziale del termine per ricorrere contro il diniego di accesso e la non reiterabilità dell’istanza, (v) la tutela del contraddittorio nei casi in cui l’ostensione interferisca con la situazione soggettiva di altri soggetti, (vi) le ipotesi di esclusione dal diritto di accesso.
Pur essendo un diritto dalla portata generale, esercitabile cioè in tutti i settori dell’ordinamento in cui non sussistano specifiche esenzioni, vi sono peraltro delle materie di più ricorrente attuazione pratica dell’istituto, come: (a) l’accesso dei partecipanti alla gara rispetto ai documenti presentati dalla ditta aggiudicataria, cui si correla la questione della tutela della riservatezza e segretezza degli elementi industriali e commerciali presenti nell’offerta tecnica; (b) l’accesso ai documenti reddituali e patrimoniali in relazione ai giudizi in materia di famiglia; (c) l’accesso in ambito urbanistico-edilizio; (d) l’accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di verifica degli ispettori del lavoro; (e) l’accesso alla documentazione sanitaria riguardante propri familiari; (f) l’accesso ai documenti relativi alla fase esecutiva dei contratti pubblici.
Dichiarazione di inizio attività e sue evoluzioni normative: trova la sua disciplina fondamentale nell’art. 19 della L. n. 241/1990, per il quale ogni atto abilitativo il cui rilascio dipenda solo dall’accertamento di presupposti e requisiti richiesti dalla legge, e non sia sottoposto a limiti numerici, è (attualmente) sostituito da una segnalazione dell’interessato corredata di dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni con relativi elaborati tecnici.
Per regola generale l’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data stessa della presentazione, mentre in altri casi viene in rilievo il modello della conferenza di servizi con termini e regole sue proprie.
L’ordinaria attività di accertamento e di verifica spettante all’amministrazione viene differita ad un momento successivo, nel senso che, una volta che si sono prodotti gli effetti giuridici previsti dalla legge, l’amministrazione è investita di un potere inibitorio e interdittivo da esercitare entro il termine tassativo di sessanta giorni, consistente – in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge – nell’adozione di motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Invero, l’esercizio di tale potere continua a sussistere anche dopo la scadenza del predetto termine, ma in questo caso l’adozione delle misure inibitorie è subordinato, in termini di legittimità, alla sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per l’esercizo del potere di annullamento d’ufficio.
La Regione Sardegna ha introdotto in materia una specifica normativa, la L.R. n. 24/2016, con la quale sono state regolate tutte le diverse fasi del procedimento unico, il quale si può a sua volta sviluppare in tre diverse modalità: autocertificazione a 0 giorni, autocertificazione a 30 giorni e conferenza di servizi.
Con riferimento alla posizione dei terzi, la legge stabilisce che la Scia o la Dia non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, per cui i terzi interessati possono solo sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, proporre l’azione contro il silenzio della stessa.
Procedimento dinanzi al Suape: la disciplina generale sulla dichiarazione di inizio attività, contenuta nella legislazione statale, ha trovato in Sardegna una specifica attuazione nella L.R. n. 24/2016, con la quale sono stati regolati nel dettaglio tutti gli aspetti delle diverse fasi del procedimento unico che prende avvio con la presentazione al Suape di una dichiarazione autocertificativa e che si può sviluppare attraverso tre diverse modalità: autocertificazione a 0 giorni, autocertificazione a 30 giorni e conferenza di servizi.
La normativa regionale, che è tenuta comunque a conformarsi con quella statale di cui all’art. 19 della L. n. 241/1990, presenta diversi aspetti di sicura rilevanza pratica che interessano le vari fasi ivi previste, riguardanti (i) il divieto di frazionamento del procedimento per l’acquisizione asincrona dei diversi titoli abilitativi necessari per il medesimo intervento, (ii) l’esclusività della disciplina del procedimento unico rispetto alle disposizioni procedurali contenute nelle leggi di settore, (iii) il divieto per le amministrazioni interessate di adottare autonomi provvedimenti di assenso o di dissenso, (iv) l’idoneità del provvedimento finale a sostituire, a tutti gli effetti, ogni atto di assenso di competenza delle amministrazioni coinvolte nel procedimento, (v) la fase di verifica formale della dichiarazione autocertificativa, che può anche sfociare nella declaratoria della sua irricevibilità e conseguente inefficacia, (vi) l’attività istruttoria del Suape, (vii), i casi di deroghe ed esclusioni alla predetta disciplina, spesso in difformità dalle disposizioni stabilite sul punto dalla normativa statale.
Conferenza di servizi: modulo procedimentale concepito con finalità di semplificazione, quale strumento utile a favorire la contestualità delle decisioni mediante l’apporto contemporaneo delle singole amministrazioni competenti a pronunciarsi a diverso titolo.
A seguito di una radicale modifica normativa intervenuta in materia, sono ora previste alcune tipologie di modelli: a) in relazione alla finalità, esistono le conferenze istruttorie, decisorie e preliminari; b) in relazione alla struttura, esistono le conferenze semplificate in modalità asincrona e quelle simultanee in modalità sincrona.
La conferenza semplificata si caratterizza per l’assenza della contestualità, in quanto le amministrazioni interessate devono esprimersi, in modo non necessariamente simultaneo, entro un termine determinato il cui inutile decorso determina l’effetto legale di un assenso senza condizioni. Tale tipo di conferenza si può concludere in diversi modi: a) se ritiene che i dissensi espressi siano superabili senza una nuova conferenza (e quindi senza modifiche rilevanti), il Suape adotta la determinazione finale, di segno evidentemente positivo; b) se ritiene invece che le prescrizioni impartite necessitino di un esame contestuale di tutte le amministrazioni, viene convocata la conferenza simultanea; c) se ritene non superabili i dissensi, il Suape adotta la determinazione di conclusione negativa della conferenza semplificata; d) se ritiene complessa la determinazione da assumere, ovvero se vi è richiesta motivata delle altre amministrazioni o del privato, il Suape può procedere direttamente in forma simultanea e in modalità sincrona.
La conferenza simultanea presenta, tra le sue particolarità: (i) l’istituto del “rappresentante unico” per ciascun ente, abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione dell’amministrazione; (ii) la regola decisoria per cui la determinazione motivata di conclusione della conferenza sostituisce, a ogni effetto, tutti gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni interessate; (iii) la facoltà delle amministrazioni coinvolte di sollecitare motivatamente il Suape ad assumere, previa indizione di una nuova conferenza, determinazioni in via di autotutela nella forma dell’annullamento d’ufficio e, in presenza di alcuni presupposti, anche della revoca; (iv) la sospensione dell’efficacia della decisione, assunta nella conferenza ma in presenza di dissensi qualificati, per il periodo utile alla proposizione del rimedio oppositivo da parte dell’amministrazione dissenziente; (v) i rimedi concessi alle amministrazioni dissenzienti preposte alla tutela di interessi c.d. sensibili, nella forma dell’opposizione al capo del Governo o ai Ministri competenti, la quale determina il formarsi di un contraddittorio destinato a concludersi o con il raggiungimento di un’intesa tra le parti ovvero con l’affidamento della questione al Consiglio dei Ministri.
Silenzio significativo della P.A.: con tale accezione viene intesa, nel suo complesso, la qualificazione giuridica che la legge attribuisce espressamente all’inerzia dell’amministrazione nelle diverse ipotesi in cui la stessa sia chiamata ad assumere, entro un termine stabilito, una determinazione espressa.
In relazione alle singole ipotesi nomative, è possibile rilevare la presenza di fattispecie qualificate sia come silenzio-assenso sia come silenzio-rigetto, valendo al riguardo il principio ermeneutico per cui, laddove la norma non assegni alcun significato specifico al silenzio manifestato dalla p.a., lo stesso dovrà essere necessariamente qualificato in modo neutro quale forma di silenzio inadempimento, privo dunque di qualsiasi valore tanto positivo quanto negativo.
Silenzio-assenso: il suo principio regolatore è contenuto nell’art. 20 della L. n. 241/1990, il quale stabilisce che, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il relativo silenzio oltre i termini di legge equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, fatta eccezione per i procedimenti in cui vengano in rilievo interessi c.d. sensibili (paesaggio, ambiente, salute, difesa nazionale, etc.).
Silenzio-rifiuto: a differenza del precedente non si fonda su alcun principio generale, trovando concreta applicazione nelle sole fattispecie in cui un simile effetto risulti espressamente previsto dalla norma che regola la materia, essendo in concreto presente, tra gli altri, nei casi di silenzio amministrativo riguardante (i) l’istanza di accertamento di conformità edilizia, (ii) la domanda di rilascio del parere per un vincolo di inedificabilità relativa nella procedura di condono, (iii) l’istanza di accesso ai documenti amministrativi.
Annullamento d’ufficio e revoca degli atti amministrativi: rappresentano il nucleo centrale della potestà generale di autotutela riconosciuta dalla legge alla pubblica amministrazione, quale espressione anch’essa della funzione di amministrazione attiva, di carattere ampiamente discrezionale, avente la stessa portata – ma di segno opposto – di quella esercitata con l’adozione del provvedimento originario.
Pur avendo i due istituti una loro specifica disciplina, che li distingue nettamente tra loro, esistono peraltro alcuni principi di carattere generale che trovano una loro comune applicazione, in particolare quelli riguardanti da un lato la regola del contrarius actus, in base alla quale, trattandosi di provvedimenti di secondo grado che vengono a rimuovere gli effetti dell’atto precedente, deve essere seguito il medesimo procedimento occorso per l’adozione di quell’atto, anche in ordine all’acquisizione dei pareri richiesti per legge, dall’altro il rispetto delle garanzie partecipative attribuite all’interessato, in particolare la comunicazione dell’avvio del procedimento finalizzato all’emanazione dell’atto di autotutela.
Annullamento d’ufficio: le condizioni per il suo legittimo esercizio sono fissate nell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, che richiede, oltre all’indispensabile implicito presupposto dell’illegittimità dell’atto da rimuovere, (a) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico da motivare congruamente nell’atto, (b) un termine ragionevole entro il quale disporre l’annullamento, non superiore comunque a diciotto mesi dall’adozione dell’atto da rimuovere, salvo che per i provvedimenti originati da condotte costituenti reato accertate con sentenza passata in giudicato, (iii) la ponderazione degli interessi fatti valere dai destinatari dell’atto e dai controinteressati.
Pur non costituendo un effetto espressamente previsto dalla legge, l’annullamento d’ufficio di un atto amministrativo determina la sua caducazione con efficacia retroattiva.
Revoca: i presupposti applicativi dell’istituto sono indicati nell’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990, che stabilisce (i) la necessaria presenza di sopravvenuti motivi di pubblico interesse, ovvero il mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, ancora, la nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (ma non per autorizzazioni rilasciate e vantaggi economici attribuiti), (ii) l’efficacia irretroattiva della revoca, nel senso della inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti, (iii) l’obbligo dell’amministrazione di corrispondere un indennizzo all’interessato che abbia subito un pregiudizio dalla revoca.
Procedimento amministrativo e garanzie partecipative del privato: tema di grande interesse generale e di notevole diffusione pratica, che costituisce uno dei principi fondamentali ai quali l’attività amministrativa è tenuta a conformarsi.
Le principali questioni dibattute sul tema coincidono con i diversi istituti che vengono oggi a formare il campo applicativo più rilevante per il procedimento amministrativo.
A) Comunicazione di avvio del procedimento: rappresenta il primo strumento generale riconosciuto al privato per garantirgli una partecipazione effettiva al procedimento, realizzato con l’introduzione di alcune norme – artt. 7 e ss. della L. n. 241/1990 – che prevedono (i) la comunicazione di avvio del procedimento al destinatario del provvedimento finale e a quelli tenuti ad intervenirvi, purché non vi siano particolari ragioni di celerità ostative a tale adempimento, (ii) il contenuto indispensabile di tale comunicazione, in particolare l’oggetto del procedimento e i dati necessari per esercitare il diritto di accesso ai documenti, (iii) la possibilità di intervenire nel procedimento per tutti gli eventuali soggetti danneggiati dal provvedimento in corso di adozione, (iv) il diritto dei partecipanti di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare se pertinenti all’oggetto della pratica.
B) Preavviso di rigetto: definito dall’art. 10-bis della L. n. 241/1990 come “Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza”, rappresenta sostanzialmente la figura speculare a quella che, per i procedimenti avviati d’ufficio, si concreta nella “comunicazione di avvio del procedimento” di cui al precedente art. 7.
Anche il preavviso di rigetto assolve la funzione di assicurare lo svolgimento del contraddittorio all’interno dei procedimenti promossi ad istanza di parte, prevedendo (i) la comunicazione all’interessato dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, (ii) il diritto del medesimo di presentare osservazioni scritte e documenti, (iii) obbligo per l’amministrazione di motivare, nel provvedimento finale, le ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni.
C) Non annullabilità del provvedimento: costituisce spesso l’anello di raccordo, in prospettiva sanante, delle numerose ipotesi di invalidtà dei provvedimenti finali a causa della mancata applicazione del contraddittorio procedimentale previsto – a seconda dei casi – dall’art. 7 ovvero all’art. 10-bis della L. n. 241/1990.
L’art. 21-octies della L. n. 241/1990 ha introdotto una figura del tutto atipica, quella del c.d. vizio non invalidante, che prevede due ipotesi tra loro distinte: (a) non annullabilità del provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento qualora, per la natura vincolata di esso, risulti palese che il suo dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; (b) non annullabilità del provvedimento adottato in difetto di comunicazione di avvio del procedimento, qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Da ciò discende che né l'amministrazione né il giudice sono investiti del potere di stabilire la concreta utilità degli atti richiesti, dovendo essi limitarsi a verificare che l'istante sia titolare di una posizione giuridicamente rilevante e che il suo interesse si fondi su tale posizione, cosicché, in particolare, nell’ipotesi di accesso agli atti motivato con la difesa degli interessi giuridici del soggetto istante, il giudice dell'accesso non può che compiere una valutazione in astratto della necessità difensiva evidenziata dall'interessato e della pertinenza del documento, non potendo sindacare la concreta utilità dello stesso ai fini della vittoriosa conclusione di quel giudizio.
Intorno a questo istituto, oggetto di grande diffusione nella pratica, si sono innestate diverse questioni, concenenti in particolare (i) il necessario grado di specificazione dell’istanza ai fini della sua presa in carico, (ii) la necessaria provenienza dell’istanza dal diretto interessato, (iii) il silenzio amministrativo sulla domanda di accesso e la formazione del diniego tacito, (iv) la natura decadenziale del termine per ricorrere contro il diniego di accesso e la non reiterabilità dell’istanza, (v) la tutela del contraddittorio nei casi in cui l’ostensione interferisca con la situazione soggettiva di altri soggetti, (vi) le ipotesi di esclusione dal diritto di accesso.
Pur essendo un diritto dalla portata generale, esercitabile cioè in tutti i settori dell’ordinamento in cui non sussistano specifiche esenzioni, vi sono peraltro delle materie di più ricorrente attuazione pratica dell’istituto, come: (a) l’accesso dei partecipanti alla gara rispetto ai documenti presentati dalla ditta aggiudicataria, cui si correla la questione della tutela della riservatezza e segretezza degli elementi industriali e commerciali presenti nell’offerta tecnica; (b) l’accesso ai documenti reddituali e patrimoniali in relazione ai giudizi in materia di famiglia; (c) l’accesso in ambito urbanistico-edilizio; (d) l’accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di verifica degli ispettori del lavoro; (e) l’accesso alla documentazione sanitaria riguardante propri familiari; (f) l’accesso ai documenti relativi alla fase esecutiva dei contratti pubblici.
Dichiarazione di inizio attività e sue evoluzioni normative: trova la sua disciplina fondamentale nell’art. 19 della L. n. 241/1990, per il quale ogni atto abilitativo il cui rilascio dipenda solo dall’accertamento di presupposti e requisiti richiesti dalla legge, e non sia sottoposto a limiti numerici, è (attualmente) sostituito da una segnalazione dell’interessato corredata di dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni con relativi elaborati tecnici.
Per regola generale l’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data stessa della presentazione, mentre in altri casi viene in rilievo il modello della conferenza di servizi con termini e regole sue proprie.
L’ordinaria attività di accertamento e di verifica spettante all’amministrazione viene differita ad un momento successivo, nel senso che, una volta che si sono prodotti gli effetti giuridici previsti dalla legge, l’amministrazione è investita di un potere inibitorio e interdittivo da esercitare entro il termine tassativo di sessanta giorni, consistente – in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge – nell’adozione di motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Invero, l’esercizio di tale potere continua a sussistere anche dopo la scadenza del predetto termine, ma in questo caso l’adozione delle misure inibitorie è subordinato, in termini di legittimità, alla sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per l’esercizo del potere di annullamento d’ufficio.
La Regione Sardegna ha introdotto in materia una specifica normativa, la L.R. n. 24/2016, con la quale sono state regolate tutte le diverse fasi del procedimento unico, il quale si può a sua volta sviluppare in tre diverse modalità: autocertificazione a 0 giorni, autocertificazione a 30 giorni e conferenza di servizi.
Con riferimento alla posizione dei terzi, la legge stabilisce che la Scia o la Dia non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, per cui i terzi interessati possono solo sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, proporre l’azione contro il silenzio della stessa.
Procedimento dinanzi al Suape: la disciplina generale sulla dichiarazione di inizio attività, contenuta nella legislazione statale, ha trovato in Sardegna una specifica attuazione nella L.R. n. 24/2016, con la quale sono stati regolati nel dettaglio tutti gli aspetti delle diverse fasi del procedimento unico che prende avvio con la presentazione al Suape di una dichiarazione autocertificativa e che si può sviluppare attraverso tre diverse modalità: autocertificazione a 0 giorni, autocertificazione a 30 giorni e conferenza di servizi.
La normativa regionale, che è tenuta comunque a conformarsi con quella statale di cui all’art. 19 della L. n. 241/1990, presenta diversi aspetti di sicura rilevanza pratica che interessano le vari fasi ivi previste, riguardanti (i) il divieto di frazionamento del procedimento per l’acquisizione asincrona dei diversi titoli abilitativi necessari per il medesimo intervento, (ii) l’esclusività della disciplina del procedimento unico rispetto alle disposizioni procedurali contenute nelle leggi di settore, (iii) il divieto per le amministrazioni interessate di adottare autonomi provvedimenti di assenso o di dissenso, (iv) l’idoneità del provvedimento finale a sostituire, a tutti gli effetti, ogni atto di assenso di competenza delle amministrazioni coinvolte nel procedimento, (v) la fase di verifica formale della dichiarazione autocertificativa, che può anche sfociare nella declaratoria della sua irricevibilità e conseguente inefficacia, (vi) l’attività istruttoria del Suape, (vii), i casi di deroghe ed esclusioni alla predetta disciplina, spesso in difformità dalle disposizioni stabilite sul punto dalla normativa statale.
Conferenza di servizi: modulo procedimentale concepito con finalità di semplificazione, quale strumento utile a favorire la contestualità delle decisioni mediante l’apporto contemporaneo delle singole amministrazioni competenti a pronunciarsi a diverso titolo.
A seguito di una radicale modifica normativa intervenuta in materia, sono ora previste alcune tipologie di modelli: a) in relazione alla finalità, esistono le conferenze istruttorie, decisorie e preliminari; b) in relazione alla struttura, esistono le conferenze semplificate in modalità asincrona e quelle simultanee in modalità sincrona.
La conferenza semplificata si caratterizza per l’assenza della contestualità, in quanto le amministrazioni interessate devono esprimersi, in modo non necessariamente simultaneo, entro un termine determinato il cui inutile decorso determina l’effetto legale di un assenso senza condizioni. Tale tipo di conferenza si può concludere in diversi modi: a) se ritiene che i dissensi espressi siano superabili senza una nuova conferenza (e quindi senza modifiche rilevanti), il Suape adotta la determinazione finale, di segno evidentemente positivo; b) se ritiene invece che le prescrizioni impartite necessitino di un esame contestuale di tutte le amministrazioni, viene convocata la conferenza simultanea; c) se ritene non superabili i dissensi, il Suape adotta la determinazione di conclusione negativa della conferenza semplificata; d) se ritiene complessa la determinazione da assumere, ovvero se vi è richiesta motivata delle altre amministrazioni o del privato, il Suape può procedere direttamente in forma simultanea e in modalità sincrona.
La conferenza simultanea presenta, tra le sue particolarità: (i) l’istituto del “rappresentante unico” per ciascun ente, abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione dell’amministrazione; (ii) la regola decisoria per cui la determinazione motivata di conclusione della conferenza sostituisce, a ogni effetto, tutti gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni interessate; (iii) la facoltà delle amministrazioni coinvolte di sollecitare motivatamente il Suape ad assumere, previa indizione di una nuova conferenza, determinazioni in via di autotutela nella forma dell’annullamento d’ufficio e, in presenza di alcuni presupposti, anche della revoca; (iv) la sospensione dell’efficacia della decisione, assunta nella conferenza ma in presenza di dissensi qualificati, per il periodo utile alla proposizione del rimedio oppositivo da parte dell’amministrazione dissenziente; (v) i rimedi concessi alle amministrazioni dissenzienti preposte alla tutela di interessi c.d. sensibili, nella forma dell’opposizione al capo del Governo o ai Ministri competenti, la quale determina il formarsi di un contraddittorio destinato a concludersi o con il raggiungimento di un’intesa tra le parti ovvero con l’affidamento della questione al Consiglio dei Ministri.
Silenzio significativo della P.A.: con tale accezione viene intesa, nel suo complesso, la qualificazione giuridica che la legge attribuisce espressamente all’inerzia dell’amministrazione nelle diverse ipotesi in cui la stessa sia chiamata ad assumere, entro un termine stabilito, una determinazione espressa.
In relazione alle singole ipotesi nomative, è possibile rilevare la presenza di fattispecie qualificate sia come silenzio-assenso sia come silenzio-rigetto, valendo al riguardo il principio ermeneutico per cui, laddove la norma non assegni alcun significato specifico al silenzio manifestato dalla p.a., lo stesso dovrà essere necessariamente qualificato in modo neutro quale forma di silenzio inadempimento, privo dunque di qualsiasi valore tanto positivo quanto negativo.
Silenzio-assenso: il suo principio regolatore è contenuto nell’art. 20 della L. n. 241/1990, il quale stabilisce che, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il relativo silenzio oltre i termini di legge equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, fatta eccezione per i procedimenti in cui vengano in rilievo interessi c.d. sensibili (paesaggio, ambiente, salute, difesa nazionale, etc.).
Silenzio-rifiuto: a differenza del precedente non si fonda su alcun principio generale, trovando concreta applicazione nelle sole fattispecie in cui un simile effetto risulti espressamente previsto dalla norma che regola la materia, essendo in concreto presente, tra gli altri, nei casi di silenzio amministrativo riguardante (i) l’istanza di accertamento di conformità edilizia, (ii) la domanda di rilascio del parere per un vincolo di inedificabilità relativa nella procedura di condono, (iii) l’istanza di accesso ai documenti amministrativi.
Annullamento d’ufficio e revoca degli atti amministrativi: rappresentano il nucleo centrale della potestà generale di autotutela riconosciuta dalla legge alla pubblica amministrazione, quale espressione anch’essa della funzione di amministrazione attiva, di carattere ampiamente discrezionale, avente la stessa portata – ma di segno opposto – di quella esercitata con l’adozione del provvedimento originario.
Pur avendo i due istituti una loro specifica disciplina, che li distingue nettamente tra loro, esistono peraltro alcuni principi di carattere generale che trovano una loro comune applicazione, in particolare quelli riguardanti da un lato la regola del contrarius actus, in base alla quale, trattandosi di provvedimenti di secondo grado che vengono a rimuovere gli effetti dell’atto precedente, deve essere seguito il medesimo procedimento occorso per l’adozione di quell’atto, anche in ordine all’acquisizione dei pareri richiesti per legge, dall’altro il rispetto delle garanzie partecipative attribuite all’interessato, in particolare la comunicazione dell’avvio del procedimento finalizzato all’emanazione dell’atto di autotutela.
Annullamento d’ufficio: le condizioni per il suo legittimo esercizio sono fissate nell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, che richiede, oltre all’indispensabile implicito presupposto dell’illegittimità dell’atto da rimuovere, (a) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico da motivare congruamente nell’atto, (b) un termine ragionevole entro il quale disporre l’annullamento, non superiore comunque a diciotto mesi dall’adozione dell’atto da rimuovere, salvo che per i provvedimenti originati da condotte costituenti reato accertate con sentenza passata in giudicato, (iii) la ponderazione degli interessi fatti valere dai destinatari dell’atto e dai controinteressati.
Pur non costituendo un effetto espressamente previsto dalla legge, l’annullamento d’ufficio di un atto amministrativo determina la sua caducazione con efficacia retroattiva.
Revoca: i presupposti applicativi dell’istituto sono indicati nell’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990, che stabilisce (i) la necessaria presenza di sopravvenuti motivi di pubblico interesse, ovvero il mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, ancora, la nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (ma non per autorizzazioni rilasciate e vantaggi economici attribuiti), (ii) l’efficacia irretroattiva della revoca, nel senso della inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti, (iii) l’obbligo dell’amministrazione di corrispondere un indennizzo all’interessato che abbia subito un pregiudizio dalla revoca.
Procedimento amministrativo e garanzie partecipative del privato: tema di grande interesse generale e di notevole diffusione pratica, che costituisce uno dei principi fondamentali ai quali l’attività amministrativa è tenuta a conformarsi.
Le principali questioni dibattute sul tema coincidono con i diversi istituti che vengono oggi a formare il campo applicativo più rilevante per il procedimento amministrativo.
A) Comunicazione di avvio del procedimento: rappresenta il primo strumento generale riconosciuto al privato per garantirgli una partecipazione effettiva al procedimento, realizzato con l’introduzione di alcune norme – artt. 7 e ss. della L. n. 241/1990 – che prevedono (i) la comunicazione di avvio del procedimento al destinatario del provvedimento finale e a quelli tenuti ad intervenirvi, purché non vi siano particolari ragioni di celerità ostative a tale adempimento, (ii) il contenuto indispensabile di tale comunicazione, in particolare l’oggetto del procedimento e i dati necessari per esercitare il diritto di accesso ai documenti, (iii) la possibilità di intervenire nel procedimento per tutti gli eventuali soggetti danneggiati dal provvedimento in corso di adozione, (iv) il diritto dei partecipanti di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare se pertinenti all’oggetto della pratica.
B) Preavviso di rigetto: definito dall’art. 10-bis della L. n. 241/1990 come “Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza”, rappresenta sostanzialmente la figura speculare a quella che, per i procedimenti avviati d’ufficio, si concreta nella “comunicazione di avvio del procedimento” di cui al precedente art. 7.
Anche il preavviso di rigetto assolve la funzione di assicurare lo svolgimento del contraddittorio all’interno dei procedimenti promossi ad istanza di parte, prevedendo (i) la comunicazione all’interessato dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, (ii) il diritto del medesimo di presentare osservazioni scritte e documenti, (iii) obbligo per l’amministrazione di motivare, nel provvedimento finale, le ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni.
C) Non annullabilità del provvedimento: costituisce spesso l’anello di raccordo, in prospettiva sanante, delle numerose ipotesi di invalidtà dei provvedimenti finali a causa della mancata applicazione del contraddittorio procedimentale previsto – a seconda dei casi – dall’art. 7 ovvero all’art. 10-bis della L. n. 241/1990.
L’art. 21-octies della L. n. 241/1990 ha introdotto una figura del tutto atipica, quella del c.d. vizio non invalidante, che prevede due ipotesi tra loro distinte: (a) non annullabilità del provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento qualora, per la natura vincolata di esso, risulti palese che il suo dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; (b) non annullabilità del provvedimento adottato in difetto di comunicazione di avvio del procedimento, qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.