Servizi pubblici locali

Qualificazione dei servizi pubblici locali: sono definiti tali, ai sensi dell’art. 112 del D.Lgs. n. 267/2000, i servizi aventi “per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”, facendo così emergere due elementi costitutivi: a) la preordinazione dell'attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti; b) la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi – come quelli di esercizio e tariffari – volti a indirizzare l'attività a regole di continuità, regolarità, capacità tecnico-professionale e qualità.
In particolare, per pubblico servizio deve intendersi, sotto il profilo oggettivo, un’attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi indispensabili in un determinato contesto sociale.
Esaminando in concreto le diverse tipologie vi rientrano, tra gli altri, (i) il servizio di raccolta, trasporto e trattamento dei rifiuti solidi urbani, trattandosi di prestazioni svolte direttamente a favore della cittadinanza in quanto dirette a soddisfare i bisogni dell’intera collettività, per il quale l’utente paga una tariffa, obbligatoria per legge e di importo tale da coprire interamente il costo del servizio, (ii) il servizio di illuminazione delle strade comunali, il quale si avvale di un sistema di impianti collegati a rete per la diffusione dell’energia, (iii) il servizio di gestione degli impianti di illuminazione votiva dei cimiteri comunali.
 
Servizi pubblici locali e appalti di servizi: si tratta di due distinte figure giuridiche i cui elementi di differenziazione non trovano sempre dei parametri certi e univoci, pur essendo questi uniformati al principio di fondo  secondo cui, mentre nell’appalto le prestazioni sono rese a favore dell’amministrazione, nella concessione di servizi si instaura invece un rapporto trilaterale tra amministrazione, concessionario e utenti. Tuttavia si è affermato un diverso principio in base al quale il servizio pubblico locale è configurabile non solo quando l’amministrazione adotti un atto di concessione (c.d. rapporto trilaterale, con il corrispettivo del servizio fissato dal concessionario su cui grava il rischio di impresa) ma anche quando essa stipuli un contratto di appalto (rapporto bilaterale, con il versamento di un importo da parte dell’ente), sempre che l’attività sia rivolta direttamente all’utenza e non all’ente appaltante in funzione strumentale alla stessa amministrazione, e che l’utenza sia chiamata a pagare un compenso per la fruizione del servizio. A sua volta, però, anche l’elemento dell’onerosità non viene ritenuto essenziale, risultando invece decisivo che le prestazioni siano strumentali all’assolvimento delle finalità sociali dell’ente.
 
Servizi pubblici locali a rilevanza economica e modalità di affidamento: sono quei servizi potenzialmente idonei a produrre un utile di gestione e quindi a riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore, non rilevando l’esiguità dell’utile che gli stessi possono in concreto produrre.
In relazione al sistema di gerarchia delle fonti, la disciplina delle modalità di affidamento degli stessi è da ricondurre alla materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, c. 2, lett. e) della Cost., tenuto conto della sua diretta incidenza sul mercato e dell’essere funzionale alla gestione unitaria del servizio.
Per effetto della sentenza Corte Cost. n. 199/2012 essi possono essere gestiti indifferentemente ricorrendo o al mercato (mediante procedura ad evidenza pubblica), o al c.d. partenariato pubblico-privato (per mezzo di una società mista e quindi con una “gara a doppio oggetto” per la scelta del socio e per la gestione del servizio), o ancora all’affidamento diretto in house ad un soggetto che solo formalmente è diverso dall’ente ma che ne costituisce sostanzialmente un diretto strumento operativo, sempre che sussistano i requisiti della totale partecipazione pubblica, del controllo “analogo” e della realizzazione, da parte della società affidataria, della parte più importante della sua attività con l’ente che la controlla.
 
Servizi pubblici locali a rilevanza non economica e modalità di affidamento: vanno considerati tali i servizi che sono resi agli utenti in chiave meramente erogativa e che non richiedono una organizzazione di impresa in senso oggettivo.
In via di principio, la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, non essendo possibile fissare a priori un elenco definitivo per ciascuna di esse; un criterio ragionevole consiste nel prendere in considerazione non solo la tipologia o caratteristica merceologica del servizio ma anche la soluzione organizzativa che l'ente locale ritiene più rispondente alle esigenze dei cittadini (v. i servizi di cultura e tempo libero da erogare con o senza copertura dei costi). Invero, un altro criterio attendibile si ricava dalle norme privatistiche, in quanto gli elementi caratterizzanti i servizi a rilevanza economica coincidono in sostanza con quelli indicati dagli artt. 2082 e 2195 cod. civ. per l’attività di impresa.
 
Affidamento in house dei servizi: istituto di origine comunitaria ampiamente considerato, i cui presupposti applicativi sono stati elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (capostipite la sentenza “Teckal”), con tutti i delicati aspetti che discendono dal fatto che esso costituisce un’eccezione al principio di concorrenza, uno dei principi-cardine dell’ordinamento comunitario.
Sotto il profilo funzionale le società in house sono degli strumenti giuridici di cui dispone la pubblica amministrazione in alternativa all’utilizzo del mercato, che però, proprio per tale intima connessione con questa, non possono avere vocazione commerciale.
Requisiti necessari per la configurazione dell’in house providing sono: (i) la “totale partecipazione pubblica”, la quale costituisce l’elemento distintivo del fenomeno in house rispetto a quello delle società miste, una delle forme di partenariato pubblico-privato; tale elemento richiede che la partecipazione pubblica permanga per tutta la vita della società e sia garantita nel tempo da apposita clausola statutaria; (ii) il “controllo analogo”, il quale impone l’esercizio, da parte dell’ente pubblico controllante, di un’influenza decisiva sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della persona giuridica controllata, così da diventare nella sostanza un controllo strutturale, il quale deve essere ben più incisivo di quello che l’ente pubblico può esercitare in qualità di socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario; (iii) la “prevalenza dell’attività con l’ente affidante”, nel senso che le prestazioni dell’organismo in house devono essere destinate in via principale ed esclusiva all’ente di riferimento, rivestendo le altre attività carattere marginale e sussidiario. 
In generale la società in house opera come qualsiasi altra società soggetta al codice civile, ma essendo ricompresa tra le società pubbliche riceve una disciplina peculiare che incide sia sulla sua attività che sul suo regime.
Il principio da tempo enunciato anche dai giudici costituzionali è quello per cui l’affidamento diretto o in house, lungi dal configurarsi come un’ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locali, costituisce invece una delle tre normali forme organizzative degli stessi, con la conseguenza che la decisione di un ente in merito alla concreta gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dell’affidamento in house, costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale da motivare adeguatamente quanto alle ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano, la quale sfugge in quanto tale al sindacato di legittimità del giudice amministrativo se non per i consueti profili di massima rilevanza dell’eccesso di potere. 
 
Società miste. Loro inquadramento e struttura: nella mancanza di una specifica normativa comunitaria in materia di società pubbliche, la figura della società mista pubblico-privata con socio privato individuato con gara a doppio oggetto è risultata il frutto dell’elaborazione giurisprudenziale del Consiglio di Stato, riconosciuta corretta anche dalla Corte di Giustizia UE. In particolare, qualora tali società abbiano ad oggetto la realizzazione di un’opera pubblica ovvero l’organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato ex art. 180 del D.Lgs. n. 50/2016 con un imprenditore selezionato con le modalità ex art. 17, commi 1 e 2, la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al 30 % e la sua selezione si svolge con procedure di evidenza pubblica. In tal caso, non esiste a priori alcuna incompatibilità di natura comunitaria per l’affidamento diretto di un servizio nei confronti di una società mista, a condizione però che la gara per la scelta del socio privato avvenga nel rispetto dei principi di libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi, di parità di trattamento, di non discriminazione, di trasparenza, e sempre che i criteri per la scelta si riferiscano non solo al capitale da quest’ultimo conferito ma anche alle sue capacità tecniche e alle caratteristiche dell’offerta tenuto conto delle prestazioni specifiche da fornire.
Da ciò discende che, all’interno della società mista, il soggetto privato riveste un ruolo operativo e non di mero sottoscrittore di capitale, anche perché il suo coinvolgimento per scopi di interesse generale si giustifica proprio con la carenza delle relative competenze in capo all’amministrazione.
In tema di servizi pubblici locali uno degli aspetti rilevanti è quello della sussistenza o meno di limiti territoriali all’esecuzione di tali servizi (c.d. extraterritorialità dell’attività), regolato dal principio prevalente per cui la società mista dovrebbe operare solo a favore della collettività stanziata nel territorio di competenza dell’ente locale di riferimento; un tale collegamento deve però avvenire in termini non formali bensì funzionali, non potendo questi ridursi al mero interesse imprenditoriale, e ciò in quanto la società mista, essendo costituita da un ente pubblico, non è legittimata a svolgere qualsiasi attività giuridicamente rilevante, trovando il suo limite nella cura degli interessi della collettività. Esiste tuttavia un altro orientamento, in base al quale il vincolo funzionale connesso alla dimensione territoriale di riferimento è assai meno stringente di quanto avveniva prima per le aziende speciali, potendo essere assunto un impegno extraterritoriale anche qualora esso comporti solo ritorni di carattere economico o finanziario, fermo restando il limite del mantenimento di congrue risorse e mezzi adeguati da destinare alla soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento. 
Sotto un altro profilo, le società miste che gestiscono servizi pubblici locali affidati senza il rispetto dei principi dell’evidenza pubblica non possono acquisire, con o senza gara e neanche per il tramite di società controllanti o da esse controllate, servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, siano questi affidati con appalto o concessione  (art. 33 D.L. n. 138/2011); ratio del divieto è data dall'esigenza di impedire alterazioni del mercato che sorgerebbero in una gara dalla presenza di quei soggetti che, in quanto già affidatari diretti di servizi nel medesimo o in altri ambiti territoriali, vantano una posizione privilegiata acquisita fuori dell'evidenza pubblica.

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